necropoli dei bambini lugnano in teverina

La necropoli dei bambini di Lugnano in Teverina

16 Aprile 2021

L’archeologia, non di rado, ci lascia attoniti con le sue a volte inquietanti rivelazioni dal passato: è il caso della necropoli dei bambini di Lugnano in Teverina, in Umbria, nel territorio provinciale di Terni.

Un sito archeologico della media valle del Tevere, in località Poggio Gramignano, da cui continuano a emergere sconcertanti novità, nonostante dai primi scavi, iniziati nel 1988, siano passati ormai oltre trent’anni.

In quell’occasione, al termine di una campagna conclusa nel 1992, gli archeologi statunitensi guidati dal professor David Soren della University of Arizona riportarono alla luce, nell’area di una villa romana di età augustea, un’area sepolcrale del V secolo. Fin qui nulla di strano, se non fosse che quel cimitero conteneva soltanto tombe di bambini, in gran parte neonati, e di feti abortivi.

Negli anni successivi, le indagini archeologiche sono proseguite a più riprese. Gli scavi e gli studi susseguitisi a Lugnano hanno attestato un insediamento abitativo di vaste dimensioni e probabilmente molto più antico della villa. Quest’ultima andò in rovina nel III secolo. Cioè due secoli prima che una sua porzione venne utilizzata per seppellire morti prematuri.

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La necropoli dei bambini: storia e scoperte

Secondo recenti studi del professor David Pickel della Stanford University, si è ritenuto a lungo che la necropoli dei bambini di Lugnano in Teverina fosse destinata a neonati, feti e bambini di pochissimi anni di vita. Infatti, tra le cinquanta sepolture emerse dal terreno, i resti del defunto più grande appartenevano a un bambino di circa tre anni.

Tuttavia, il ritrovamento dello scheletro di uno di dieci anni, fa pensare a un’ecatombe che coinvolse anche bambini più grandi. Infatti, ci sono indizi concreti secondo cui le morti si consumarono tutte in un brevissimo arco di tempo. Un dato, questo, che riconduce a una pestilenza: studi interdisciplinari ipotizzano che si possa trattare della prima evidenza archeologica della malaria. Secondo i ricercatori, potrebbe trattarsi dell’epidemia che colpì l’Umbria e l’Italia centrale verso la metà del V secolo. Un evento nominato inoltre nelle lettere di un vescovo che da Ravenna andò a Roma nell’anno 467.

Qualche anno prima, nel 452, il re degli Unni, Attila, rinunciò a marciare verso Roma, forse perché dissuaso da una sconosciuta pestilenza che ammorbava l’aria lungo le strade che conducevano alla Città Eterna. Quell’epidemia di malaria potrebbe aver contribuito alla fine del mondo antico, ormai avviato verso il medioevo.

Infine, il tipo di sepoltura del suddetto bambino di dieci anni, rinvenuto con un sasso nella bocca, rappresenta un’ulteriore anomalia in un cimitero già anomalo. Nell’area è stata riscontrata la persistenza di antichi riti pagani anche in un’epoca ormai cristianizzata e tale ritrovamento potrebbe esserne un’attestazione.

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