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Pride, quando i diritti si tingono di arcobaleno

2 Luglio 2021

Arcobaleni. Vestiti sgargianti. Musica. Ma soprattutto rivendicazione dei propri diritti. Ecco la formula unica e straordinaria del Pride, la manifestazione che anno dopo anno ingrossa le sue fila.

Spesso sui social leggiamo commenti sprezzanti verso l’evento. Il più comune è “che pagliacciata!”, seguito dal “ma che bisogno c’è di mostrarsi in questo modo?”. La storia della nascita del Pride risponde a queste becere affermazioni. Partiamo da una situazione sociale e politica particolarmente calda.

Il ’68 aveva rappresentato una svolta per i diritti civili. Le lotte degli afroamericani e le proteste per il conflitto del Vietnam condivano il tutto con un’elevatissima tensione. I tempi erano maturi e nella notte tra il 26 e il 27 giugno 1969 la miccia era pronta: come innesco, l’ennesima irruzione della polizia allo Stonewall Inn di New York, locale frequentato dalla comunità LGBT. Galeotto fu un tacco scagliato contro un poliziotto – così narra la leggenda – a dare il via alla sommossa che durò due giorni. In prima fila, le drag queen armate di piume e slogan beffardi.

Gli eventi dello Stonewall Inn non furono di certo pacifici, ma erano il risultato di una repressione feroce durata anni. Bastava infatti un bacio per essere arrestati per indecenza e talvolta il semplice sospetto di essere omosessuali per venire licenziati o messi alla berlina sui giornali. La paura e l’anonimato le uniche vie per vivere la propria diversità.

Oggi, a oltre cinquant’anni da quegli eventi, si ricordano non tanto la battaglia di fine giugno, ma la liberazione sessuale che ha avuto inizio. Ed è per questo che almeno un giorno all’anno una folla si trasforma in un arcobaleno di speranza. Ma come mai proprio l’arcobaleno rappresenta il Pride? Anche qui si sconfina nel mito. Una settimana prima della rivolta ci lasciava Judy Garland, la Dorothy del Mago di Oz, e si narra che il simbolo del Pride nasca da un tributo al suo brano Over the Raibow.