Marco sta andando via

1 Gennaio 2018

Quando succedeva, ti faceva male il cuore. Marco stringeva gli occhi azzurri e capivi che aveva dimenticato quel viso, quel nome, quell’episodio della sua vita. Lo vedevi disorientato e afflitto, sapeva che gli sarebbe successo sempre più di frequente e sapeva che tu sapevi, provava dispiacere nel percepire il tuo dispiacere, e tu avresti voluto dire: ma dai, Marco, cosa importa se dimenticherai tutto.

Marco: il ragazzo più brillante, generoso e bello della scuola, di tutta la città. Quando entrava in una stanza o in una discoteca non potevi fare a meno di notarlo, s’innamoravano tutte le donne, e anche i maschi dovevano ammettere che era speciale. Io ero il più anonimo della scuola, il più insignificante e non capii mai perché mi scelse come amico. Ora che entrambi avevamo terminato l’università continuavamo a essere legati, opposti che si attraevano: io tiravo avanti con i contratti a tempo determinato di un quotidiano locale e stentavo a trovarmi una ragazza; lui, famiglia tra le più ricche in Europa, frequentava master in Svizzera, passava da una fidanzata all’altra. Eppure, non riusciva a fare a meno di me, né io di lui.

Un giorno mi telefonò la madre. Erano nella casa di Londra, dovevo raggiungerli subito, voleva dirmi una cosa, mi avrebbe pagato il volo, mi fece promettere che non avrei raccontato nulla a nessuno. Il giorno prima era terminato il mio contratto al giornale, partii. A Londra Marco e la madre mi accolsero nella loro casa. Parlò lei: sta succedendo una cosa, Giovanni, e i medici non sanno trovare una cura. Marco la interruppe: dai, mamma, non essere troppo diplomatica, la verità è che i medici pensano che purtroppo peggiorerà gradualmente. Sto perdendo la memoria. Sta succedendo da un anno, all’inizio sono stati pochi attimi di vuoto, ora stanno divenendo sempre più frequenti, dimentico anche le cose più banali. Con il tempo dimenticherò tutto, come mi chiamo, che lei è mia madre e che tu sei il mio migliore amico. Non saprò come si usa un telecomando o un cellulare. Sto raccogliendo video, audio e foto della mia vita, ma servirà a poco: anche se vedrò l’immagine di una ragazza del quale sono stato innamorato non ricorderò quanto sia stato forte quel sentimento o bello fare l’amore con lei (scusa, mamma, aggiunse arrossendo).

Devo chiederti una cosa, Giovanni: aiutami a scrivere tutto, a riassumere le parti più importanti della mia vita, ma anche quelle banali. Fui sorpreso: se non fosse stata presente anche la madre avrei pensato a uno dei soliti scherzi di Marco. Ma perché io? Potete permettervi di pagare i migliori scrittori d’Europa. Sia chiaro, lo faccio volentieri, ma non capisco. Marco restò in silenzio, la madre capì che stava succedendo di nuovo, toccò un braccio al figlio e gli disse: Marco, stavi dicendo a Giovanni, il tuo migliore amico venuto dall’Italia, che vorresti che scrivesse la storia della tua vita e lui ti ha chiesto perché l’hai scelto… Ah, sì, riprese Marco: mi piacerebbe che fossi tu perché siamo amici e perché sei una persona buona, forse la migliore che conosca. E perché sei bravo. Leggo sempre i tuoi articoli, tu non vuoi apparire: tanti giornalisti pensano solo a fare acrobazie quando scrivono e non si comprende nulla. Con te è diverso, per te ciò che si racconta e più importante. Accettai: fui ospite di Marco per otto mesi, la madre mi impose di accettare un compenso estremamente generoso.

Iniziammo dai primi ricordi, l’addio al padre morto quando era ancora bambino o semplicemente quella volta che aveva rifiutato di fare i compiti e la madre gli aveva proibito di mangiare il gelato per un mese, «la considerai una grave ingiustizia», rise; mi raccontò dell’unica ragazza di cui era stato davvero innamorato, l’unica che l’avesse respinto, «non si fidava di me e io non riuscii a farle capire che non era una delle tante». I vuoti, anche per cose successe pochi secondi prima, furono sempre più fastidiosi. Poi un giorno mi disse: ancora ricordo quando dopo il diploma noleggiammo la macchina e da Siviglia andammo insieme sulla costa della Spagna, di fronte al Marocco. Torniamoci, fammi un ultimo regalo.

Ora siamo qui, seduti sulla sabbia in una spiaggia sterminata, soli perché è novembre. Tramonto. Non riesco più a respirare, un attacco di cuore, chiedo aiuto a Marco, lui sa come intervenire, insieme frequentammo quasi per scherzo un corso di pronto intervento. Mi guarda, non ricorda. Non ricorda come si fa. Sto per morire, piange, si piega disperato perché non sa cosa fare, non ricorda che numero chiamare per le emergenze. Poi, alza la mano. Come a scuola. Ricordo, ricordo, ricordo tutto, mi dice, tutto. Mi salva la vita. Dopo un’ora è vicino a me su un’ambulanza, sorride.

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