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Turnaround – Graham Bond, “Solid Bond”, la recensione

28 Ottobre 2016

Un alone di mistero ha circondato la breve e intensa vita di Graham Bond, un personaggio difficile, condizionato dall’abuso di droghe pesanti, da problemi mentali e dall’interesse per l’occulto.

Diventa professionista nel 1960, suonando il sax con un paio di quintetti jazz di grido. Dopo un breve passaggio con i Blues Incorporated di Alex Korner, fonda, come leader, assieme al bassista Jack Bruce, al batterista Ginger Baker e al chitarrista John McLaughlin, il Graham Bond Quartet.

Passato definitivamente all’organo Hammond, strumento del quale è considerato uno dei pionieri in Inghilterra, devia sempre più verso un R’n’B dalle trame lisergiche e sperimentali, mescolandolo rock, jazz, blues e soul. “Mi ha insegnato la maggior parte di quello che so sull’organo Hammond”, ricorda Jon Lord.

Solid Bond è un doppio album atipico, che raccoglie tre lunghi brani live del 1963 con il Graham Bond Quartet e una registrazione in studio inedita, del 1966, in trio con il sassofonista Dick Heckstall-Smith e il poliedrico batterista Jon Hiseman, poi cofondatori dei Colosseum. La sua fama non è stata certo pari a quella dei musicisti che hanno suonato con lui. Da riscoprire.

Graham Bond
Solid Bond (Warner Bros, 1970)

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