“Non mi troverete mai”, un racconto di Mauro Evangelisti

1 Maggio 2016

Svuota il cassetto di sera, quando gli altri colleghi sono già a cena in un ristorante con pizzaioli del Bangladesh o a casa dalla moglie con cui parlano il meno possibile.

Stampa la lettera di dimissioni. La chiude in una busta con l’indirizzo dell’ufficio del personale, ma ne manda una copia anche via mail. Non ha detto a nessuno che se ne andrà. Chi rinuncerebbe al posto fisso nell’agenzia pubblicitaria più importante di Milano e d’Italia? Immagina i colleghi, con i quali ha condiviso dieci anni della sua vita, che per giorni non parleranno d’altro. Claudia, la vicina di scrivania, piangerà visto che lei piange per tutto; Poldo, quello con cui ha seguito i progetti più importanti, scuoterà il capo e ripeterà fino alla noia, «almeno poteva salutare». Il capo del personale urlerà, infuriato, perché non si è mai visto che qualcuno se ne va, dall’oggi al domani, senza neppure avvertire «come si fa nel mondo civile»: vedrà la sua fuga come una umiliazione, come un affronto al suo potere che è in fondo tutta la sua vita.

Elio sorride, sullo scooter, tornando a casa, pensando a tutti i progetti che ha lasciato a metà. Ride per le bollette dell’appartamento in affitto che lascerà da pagare, alle cartelle di Equitalia che diventeranno carta straccia, a Simona che verrà a cercarlo, con il solito ricatto che se non le firma un assegno per chissà quale emergenza lei se ne va con un altro. Pensa ai vicini di casa, che da una settimana lo inseguono per la perdita d’acqua nel bagno. Non gli interessa, è così piacevole lasciare tutto a metà.

Il giorno dopo è su un Boeing 777 e sta guardando una vecchia puntata di The Big Bang Theory. Deve fare scalo a Dubai, poi un altro volo lo porterà a Tokyo. Sorride, per una battuta del telefilm che ascolta con le cuffie, ma anche perché sa che dove sta andando non lo troveranno mai. Nell’aeroporto di Dubai, in attesa della connessione, accende lo smartphone e attiva il roaming del 3G: costa una fortuna, ma tanto non pagherà mai quella bolletta. È un concerto di bip: 26 sms avvertono chi lo ha chiamato mentre era sull’aereo; 46 messaggi tra sms, Facebook e Whatsapp di 17 persone diverse dicono, più o meno tutti, «dove cazzo sei finito?».

Simona gli ha mandato la foto del dito medio alzato con scritto «ma non dovevi portarmi i soldi oggi?». Una mail ufficiale del capo del personale lo avverte che è stata attivata una procedura disciplinare nei suoi confronti. Elio ride rumorosamente, alcuni passeggeri seduti vicino a lui nella sala d’attesa lo guardano diffidenti. «Procedura disciplinare? Ma che pensano di farmi? Di licenziarmi? Mi sono già licenziato io» sussurra a se stesso, ridendo ancora. Dove vado, non mi troveranno mai. Vado a morire, provate a prendermi.

Sul volo diretto a Tokyo dorme e sogna. Compare una foresta, intricata e scura, che però Elio sente familiare. Avanza, lungo un sentiero, un carro; sopra, seduto con le gambe incrociate, s’intravede un uomo, dai lineamenti asiatici, forse giapponesi, seminudo. Vicino a lui, in piedi sul carro, altri tre uomini con delle piume in testa, forse degli stregoni, dei sacerdoti. Lo stanno portando nel territorio dei morti: è così che vanno queste cose e lui è sereno. Anch’io sono sereno, anch’io sto andando a morire. Elio si risveglia. Ha deciso di togliersi la vita un anno prima, senza una ragione particolare, forse solo noia e stanchezza. Ha pensato di farlo nel suo appartamento, con dei medicinali, ma poi ha riflettuto su quanto sarebbe stato seccante il dopo: estranei sarebbero entrati in casa sua, i commenti degli amici e dei colleghi, le recite al funerale di Simona. No, doveva andare lontano, lasciare passare un po’ di tempo e poi farla finita da sconosciuto, da straniero. Dove nessuno avrebbe potuto trovarlo.

Ora resterà una settimana a Tokyo, poi prenderà un aereo per Okinawa e lì, tra qualche mese, si getterà da una rupe, che ha visto in una foto. Non mi troveranno mai. All’improvviso, un’esplosione, l’aereo comincia a tremare, il pilota urla dall’altoparlante di allacciarsi le cinture di sicurezza, ma il Boeing sta puntando, veloce e inarrestabile, verso il terreno. Elio è l’unico che non urla, va bene anche così, pensa. L’impatto. Tutto scompare. Non sa quanto tempo sia trascorso al suo risveglio. Attorno a lui vede i pezzi dell’aereo che stanno bruciando, i cadaveri degli altri passeggeri e dell’equipaggio. Urla, nessuno gli risponde. Riconosce la foresta, è quella del sogno, ma non è morto, è vivo. Si rende conto che il suo sedile è stato sbalzato sulla vegetazione, che ha attutito la caduta. Si alza, urla ancora, nessuno gli risponde, è l’unico sopravvissuto. Poi sente una voce, «sir, sir», si volta, ci sono degli uomini in divisa. Sono i soccorritori. Lo hanno trovato.

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