“Liberazione”, un racconto di Mauro Evangelisti

1 Dicembre 2015

Jennifer entrò nella campana isolante costruita dai resistenti. Era nell’unica isola in cui non arrivava il controllo del software. Oltre la rete di vigilanza. C’erano decine di donne e uomini che guardavano verso l’alto e ascoltavano Paulo.

Da una sorta di palco cadente – la campana isolante era stata costruita attorno a un vecchio teatro del secolo precedente – spiegò: «Per anni abbiamo pensato che il software fosse lo strumento imposto dai gruppi di potere per controllare il popolo e le loro menti. Ma non è così. I migliori tra gli scienziati che si sono schierati dalla nostra parte sono concordi: è il software che controlla tutto, negli anni è divenuto autonomo, dominatore. Una creatura sfuggita ai creatori. Le famiglie dominanti e i politici da loro manovrati sono in realtà ormai succubi del software. Non sono i gruppi di potere a decidere, è il software stesso». Si alzò un brusio di disapprovazione e sbigottimento. Anche Jennifer stentava a credere a ciò che diceva Paulo.

Salì sul palco un vecchio scheletrico. Sarebbe potuto volare via alla prima folata di vento, se solo la campana fosse sparita. Alzò un braccio e chiese silenzio: «Lo so, è difficile da credere, ma è così. Il software è l’unione di tutti i programmi che negli anni hanno regolato e tracciato le nostre vite quotidiane. Gradualmente sono divenute un’unica entità. Dominante. Come una sorta di coscienza diffusa che ha eliminato qualsiasi possibilità per i programmatori di intervenire. È il software a decidere e i governanti sono solo strumenti. Certo, complici, per interesse personale, ma loro stessi in catene». Le urla nel teatro divennero più furiose: «Ma allora contro chi stiamo combattendo?». «Contro un’entità non umana creata dagli umani. Contro qualcosa che non possiamo disattivare perché non ce lo consentirebbe, ma anche perché improvvisamente non funzionerebbe più nulla nel nostro mondo: centrali elettriche, trasporti, banche, ospedali… Regrediremmo allo stato primitivo e il genere umano non sopravvivrebbe» disse lo scienziato scheletrico. Continuò Paulo: «Ora però rischiamo di perdere anche l’ultimo barlume di autonomia delle nostre coscienze. Nel cervello di ogni essere umano sarà installato un minuscolo hard disk che lo renderà a sua volta parte del software. Ci diranno che servirà per renderci liberi e sicuri, protetti dalle nostre emozioni che spesso ci spingono a commettere crimini. Ma saremo noi stessi parte del software. Schiavi».

«Il software sarà in ogni luogo, anche nelle nostre anime. E noi saremo a sua immagine e somiglianza. “Sarete salvati, sarete in paradiso” è lo slogan che convincerà tutti gli essere umani a sottoporsi all’intervento. Non vi ricorda qualcosa?» ironizzò lo scienziato. Jennifer guardò Paulo che si agitava sul palco. Era ancora innamorata di lui e ora lo era più che mai. «Quando il software controllerà la mia mente e i miei sentimenti dimenticherò anche l’amore per Paulo». Per un solo istante pensò che forse quella sarebbe stata la soluzione, la fine della sofferenza. Poi, però, si ribellò a se stessa, «non voglio essere schiava». E alzò la mano: «Ma allora cosa possiamo fare? Dobbiamo arrenderci? Siamo spacciati? È la fine del genere umano, almeno per come lo abbiamo sempre conosciuto?». Urla dalla platea.

Qualcuno pianse. Paulo sollevò di nuovo le braccia per chiedere silenzio. «No, non ci arrenderemo. Per questo vi abbiamo convocato. In questi mesi, in segreto, abbiamo programmato un nuovo software. Una sorta di contro-software, il bene che si oppone al male, se volete. Supererà le protezioni, annienterà il software dominante, mantenendo però il funzionamento di tutto ciò che è necessario. Tra pochi minuti i nostri programmatori tenteranno il blitz. Il bene vincerà sul male. Ma questa fase di passaggio potrebbe provocare del caos, disordini. Molti uomini, disorientati, potrebbero lasciarsi andare alla violenza. Dobbiamo essere pronti a intervenire. Ma sappiatelo: questa sarà l’ultima nostra speranza, vale la pena rischiare, meglio il caos della schiavitù». Dalla platea si alzarono urla di approvazione.

Trenta minuti dopo erano tutti con il volto rivolto allo schermo, in attesa di vedere l’immagine del nuovo software, il logo del bene che avrebbe cancellato il male, e restituito il controllo del mondo al genere umano. Lo schermo divenne buio, poi si riaccese: per un secondo apparve il logo del bene. In platea si abbracciarono, ma poi comparve il logo del software dominante, che andava a fondersi con quello del bene. Infine una scritta verde, scarna, come quella di un computer del 1990. «God». Lo scienziato scheletrico impallidì: «Ora c’è un unico software, il male ha assorbito anche il bene, è finita». Paulo si inginocchiò: «È giusto così. Chiediamo perdono. Il software ci salverà, eravamo folli a ribellarci. Preghiamo e chiediamo perdono». Altri si inginocchiarono, Jennifer fissò Paulo, vinto e convertito. Fu l’ultimo giorno in cui provò amore per lui.

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