E’ morto dove è nato. E’ morto in ottobre, quando cadono le foglie e pure gli idoli. è morto in fretta, anni 59, la brutta notizia arrivata appena tre mesi prima, secca e brutale come una sentenza: tumore al fegato, al colon e al polmone, praticamente a tutte le frattaglie, ha pagato il ticket, scusi? Bruno Metsu ha fatto una finaccia, e qui da noi solo due righe nelle brevi della Gazza. Eppure, Bruno è stato un grande.
Magari non da giocatore, centrocampista di fatica tra la sua Francia e qualche puntata in Belgio. Ma da allenatore sì: ancora squadrette di mangiarane, prima di saltare in Africa, una miniera nera da sfruttare. Così, dopo la Guinea, ecco il Senegal. Qui, Bruno fa i miracoli: una finale di Coppa d’Africa persa solo ai rigori col Mali, e poi la qualificazione ai Mondiali del 2002, prima volta per i leoni.
In Corea e Giappone, Metsu fa il capolavoro: all’esordio batte la Francia campione, alla faccia di Edipo e di tutti quei complessi che piacciono tanto agli strizzacervelli, si qualifica agli ottavi, fa fuori anche la Svezia ai supplementari e finisce ai quarti, dove cede alla Turchia. Ma la storia era già stata scritta, la favola finita, Dakar in fiamme per la goduria. Metsu allora emigra verso oriente, a spillare soldi agli emiri, prima della notizia della fine. Muore a casa sua, a Coudekerque-Village, sul canale della Manica, dove se non c’è nebbia sembra quasi di poter toccare l’Inghilterra.
Andrea Arena