Sono alle porte della città. Re Also sta ansimando, ha perso lucidità oltre che la guerra. In qualche settimana, da quando l’esercito nemico ha attaccato a est, travolgendo la nostra debole difesa, è invecchiato, ha perso i capelli e i pochi che gli sono rimasti sono imbiancati. Non mi ha ascoltato. Si è ostinato a mantenere la parte più forte e solida dell’esercito a ovest, perché temeva l’avanzata dei ribelli. La sua ossessione. «Con i ribelli puoi trattare, concedere loro una parte di territorio, ma il nemico ci spazzerà via se non aumenti la presenza dell’esercito a est. Stai sbagliando tutto e questo causerà la fine del regno e di tutti noi». Nessuno avrebbe mai osato parlargli in questo modo, ma io sono il suo consigliere da trent’anni, anche se formalmente non ho alcun incarico, ho cavalcato insieme al figlio Misa, insieme a lui ho imparato a combattere. Allora regnava ancora il padre e Also era solo un cupo principe di quarant’anni che scalpitava, aspettando che venisse il suo turno.
Un giorno però il sovrano si sentì male, si capì che il suo ultimo giorno era vicino. Andai a parlare con Also, che aveva imparato ad apprezzare la mia intelligenza più delle mie scarse doti di guerriero. Avevo venticinque anni, l’età del figlio. Mi chiese: «Vuoi diventare il mio consigliere quando sarò re?». «Se sarà re» insinuai il dubbio nella sua mente. «Che dici? Come osi?».«Suo figlio Misa non si lascerà sfuggire questa occasione. Sta già radunando i fedelissimi, la uccideranno». «Il popolo non lo accetterebbe». «Diranno che è stato un incidente. Il popolo crede sempre ai re. E se Misa diventerà re, crederanno a lui». Una settimana dopo Also ordinò di uccidere il figlio Misa in una imboscata e sterminare la sua guardia privata. Da allora ha sempre chiesto il mio consiglio, ma non mi ha ascoltato quando gli ho suggerito di trattare con i ribelli e difendersi ad est contro gli invasori. «I ribelli chiedono terre per il popolo, chiedono che diminuisca le tasse, dicono che la gente è alla fame. Ma io non accetterò mai le loro condizioni».
Sono trascorsi tre anni, gli invasori hanno occupato la città, re Also è stato impiccato. Il loro re mi ha nominato governatore perché fui io ad aiutarli, a suggerir loro di attaccare da est. Ma come governatore la mia vita non è migliorata, sono costretto a prendere ordini dagli stranieri, ma non hanno la cultura e la raffinatezza di pensiero del nostro popolo. Hanno aumentato le tasse, la fame e lo scontento. Stanno tirando troppo la corda che è destinata a spezzarsi. Al contrario, i ribelli ora possono anche alimentare le ragioni del nazionalismo non solo quelle della giustizia e della lotta alla povertà. Il re invasore l’altro giorno è venuto in visita alla città, mi ha costretto ad ascoltarlo steso ai suoi piedi, come vogliono i loro barbari costumi. «Ci aspettavamo di più da lei – mi ha detto – le riscossioni delle tasse sono deludenti e i ribelli continuano a essere una mosca fastidiosa. Eliminatela. Bruciate tutti i villaggi che li appoggiano, se necessario». «Sarà fatto, sarà fatto» ho mentito. Il giorno dopo, in segreto, ho incontrato il capo dei ribelli. La mia trattativa con lui procede fin da quando era ancora sul trono Also, prima che gli invasori prevalessero. «Ora dovete affondare il colpo – gli ho spiegato – il popolo è tutto dalla vostra parte, anche i nobili e i ricchi. Non sopportano gli invasori, sono pronti a sostenervi. Tra una settimana il grosso dell’esercito sarà sulle colline per le celebrazioni della loro insulsa religione. È il momento giusto per attaccare».
Quando i ribelli hanno sterminato gli invasori e conquistato la Capitale, ovviamente mi hanno risparmiato. Sono andato in esilio, perché per tutti ero colui che aveva collaborato con re Also prima, con gli invasori poi. Mi riposerò, avrò tempo per pensare. Sono passati altri due anni. In questo momento sono affacciato dal balcone del palazzo reale. Quello dove Also parlava al popolo, dove il re invasore ci umiliò con un discorso sprezzante, dove il capo dei ribelli ha promesso giustizia e pane alla piazza vibrante di speranza. Come avevo previsto, i ribelli non hanno saputo governare, hanno presto causato lo scontento della popolazione, sempre più povera e affamata, che li ha cacciati. I nobili mi hanno richiamato dall’esilio come il salvatore, l’unico a cui potevano offrire il trono. Era il mio piano, fin dall’inizio: Miso doveva morire, perché era troppo carismatico e astuto; gli invasori mi sono serviti a sconfiggere Also, i ribelli ad allontanare gli invasori e con la loro inettitudine a eliminare ogni speranza di giustizia nel popolo. «Torneremo grandi» urlo alla piazza entusiasta. Io sono il re.