Capimmo che la nostra epoca stava terminando e che ne sarebbe iniziata una molto più cupa e dolorosa, quando chiusero tutte le discoteche. Fu proibito ballare, ascoltare musica, incontrarsi e ridere, indossare gonne che non coprissero le ginocchia per le ragazze, portare i capelli lunghi per i ragazzi.
Subito dopo furono diffusi i precetti morali: fu vietato divorziare, proibito il sesso fuori dal matrimonio, perseguito l’adulterio. Le ragazze madri sarebbero state arrestate e i figli portati negli istituti religiosi. In pochi anni il mondo che conoscevamo fu plasmato dalle regole della “grande religione”, che sostituì tutte le altre del passato, vietandole.
Libri scritti molte migliaia di anni prima furono presi a pretesto per imprigionare le nostre vite, per controllarci, renderci schiavi, ovviamente sulla base di interpretazioni piegate alla volontà e agli interessi delle famiglie dominanti, che forgiarono una nuova casta di sacerdoti-governanti ai quali fu concessa piena libertà, qualsiasi vizio, qualsiasi perversione, qualsiasi follia. Solo il popolo doveva rispettare le regole della “grande religione”, chi le violava veniva impiccato in diretta televisiva, perché il terrore producesse rassegnazione.
Giovanna ed io eravamo fortunati. Ci eravamo sposati perché eravamo innamorati e dopo dieci anni il nostro sentimento era ancora saldo, ma attorno a noi vedevamo famiglie di fantasmi, coppie che continuavano a restare insieme perché il divorzio era proibito e temevano la punizione della casta dei sacerdoti-governanti. Altri erano costretti a nascondere i loro sentimenti, a soffocarli, perché anche solo dire “ti amo” a una persona che era il coniuge veniva punito dalla “grande religione”.
Ogni tanto ripensavamo al fatto che la nostra felicità era stata il frutto della casualità e di una tragedia: da ragazza Giovanna si era sposata con un altro uomo, prima di conoscermi, che però la maltrattava. La sua vita sarebbe stata un inferno e nulla avrebbe potuto modificarla, visto che divorziare era proibito. Poi però il marito ebbe un incidente stradale, morì, e Giovanna poté sposarsi di nuovo. Con me. Giovanna ed io continuavamo a insegnare alle scuole elementari, ma lo facevamo con sempre meno entusiasmo, costretti a insegnare una storia distorta, a raccontare che in passato, prima dell’avvento della “grande religione”, il mondo era preda del caos, della perversione, del peccato, della violenza, dell’infelicità.
Mio nonno, rileggendo i miei libri di testo, scuoteva la testa e, sottovoce, temendo di essere ascoltato dalle spie presenti in ogni palazzo, spiegava: «Non è vero, non eravamo più infelici. Eravamo solo liberi di sbagliare e spesso capitava, però avevi la speranza di poter rimediare. Era un mondo migliore e anche la religione ci aiutava semplicemente a essere più buoni, più tolleranti». «Ma cosa possiamo fare? – chiedeva Giovanna a mio nonno – nessuno vuole ribellarsi, nessuno ha la forza per farlo, nessuno vuole rischiare di essere impiccato in diretta tv. Ma non è solo paura: la maggioranza è davvero convinta che le regole della “grande religione” siano giuste, che consentire ai ragazzi di baciarsi o alle orchestre di suonare la musica del passato causerebbe il crollo della nostra società». «Fate cantare i bambini a scuola – disse mio nonno – insegnate loro le vecchie canzoni, salviamo l’allegria per quanto possibile».
Così facemmo: scegliemmo una lista di canzoni del passato che non erano ancora state proibite e i bambini le cantavano insieme a quelle imposte dalla “grande religione” che osannavano quanto fosse diventato migliore il mondo libero dai peccati. Con le vecchie canzoni i bambini – prima di trasformarsi in adulti seri e infelici la cui vita si divideva tra lavoro, funzioni religiose e famiglia, senza più sorprese – mantenevano almeno per un po’ un riverbero di allegria. Un giorno, però, il grande sacerdote disse che ancora c’era troppo peccato sulle nostre strade e nelle nostre vite, che chiudere le discoteche, i cinema, i teatri, non era stato sufficiente. E quindi fu proibita anche la musica. Definitivamente, perché incoraggia – disse il grande sacerdote – comportamenti lascivi anche al di fuori del sacro recinto del matrimonio.
Chiedemmo ai bambini di dimenticare tutte le canzoni, molti di loro protestarono. Una settimana dopo, un gruppo di sacerdoti-governanti venne a visitare la scuola, radunarono tutti gli alunni in una sala. Mentre uno dei sacerdoti parlava dell’importanza dell’obbedienza, un bambino dalle ultime file cominciò a cantare. Gli urlai di tacere, ma non mi ascoltò. Rosso in volto, il sacerdote ordinò ai soldati di frustarlo. Ma un altro bambino urlò con una voce acuta ma determinata: «Adesso basta, non ne possiamo più di voi». E piano piano tutti i cinquecento bambini della sala iniziarono a cantare. I soldati spararono, ma fu inutile. Iniziò così la rivolta dei bambini, l’unica che la grande religione non aveva previsto.