Il treno era in ritardo e Michele decise di dormire. Si coprì il viso con il cappuccio della felpa e si appoggiò al finestrino freddo. Si guardò intorno e realizzò che nel vagone non c’era più nessuno. Le tre signore anziane che parlavano ad alta voce di ricette e detersivi dovevano essere scese alla stazione precedente. Meglio così, il silenzio – dimenticando il rumore del treno – lo avrebbe aiutato a dormire.
Il sole ormai era tramontato e nei vagone erano state accese le luci. Erano tenui, non avrebbero disturbato il sonno. Milano era lontana. All’improvviso il finestrino divenne scuro e cambiò anche il rumore del treno, che si fece più acuto. Era cominciata la galleria, ma Michele fece appena in tempo a capirlo perché proprio allora si addormentò. Sognò se stesso che teneva una lezione in un’aula universitaria. Non lo aveva mai fatto in vita sua, non si era neppure laureato, aveva lasciato giurisprudenza dopo avere superato metà degli esami e aveva un ricordo sfumato di quando, dieci anni prima, aveva seguito le lezioni in una sterminata aula con troppi studenti e un professore anziano, curvo e annoiato.
Nel sogno Michele scriveva dei numeri su una lavagna: 1987, 2010, 2015, 2018. «Le vedete queste date? La mia vita è tutta qua» spiegava ai ragazzi che seguivano la lezione. Stava per proseguire con la spiegazione, ma si risvegliò. Erano ancora dentro la galleria, ma non comprese se era la stessa di quando si era addormentato o una successiva. Non era in grado di capire quanto a lungo avesse dormito. Ripensò alle date scritte alla lavagna e si stupì di quanto il sogno fosse stato preciso. 1987 ovviamente era l’anno in cui era nato, nel 2010 aveva conosciuto Sabrina della quale si era innamorato senza essere ricambiato, per lei se ne era andato da Roma per seguirla a Londra; inutilmente, visto che Sabrina, dopo qualche rapporto fugace, in cui si era concessa quasi per noia, gli aveva chiarito che non aveva intenzione di avere una storia con lui; Michele era tornato in Italia e dopo pochi mesi aveva saputo che Sabrina si era trasferita negli Stati Uniti con un manager che aveva conosciuto a Londra; la cosa che più lo spaventò, proprio alla fine del 2010, fu accorgersi che la nuova storia di Sabrina lo lasciava indifferente, averla persa per sempre non gli suscitava alcuna emozione.
Aveva sprecato quell’anno inseguendo una persona a cui non era realmente interessato, insomma aveva buttato il tempo; il 2015 era l’anno in cui era morto suo padre, gli aveva lasciato l’azienda di famiglia, una catena di negozi di elettronica presente in tutta il centro Italia, malgrado le difficoltà del mercato: ormai la gente comprava tutto on line, il padre si era sempre rifiutato di vendere, ma la prima cosa che fece Michele, fu accettare l’offerta di un grande gruppo, senza neppure tentare di guidare lui stesso l’azienda come invece aveva fatto il padre; il 2018, infine, era l’anno in cui era stato arrestato perché gli avevano trovato in tasca della cocaina all’uscita di una discoteca, era finito ai domiciliari e dopo poco i suoi avvocati avevano ottenuto l’annullamento dell’arresto e l’indagine era stata archiviata visto che Michele aveva solo poche dosi. Ma quella storia, anche se non avrebbe avuto strascichi, aveva aumentato l’apatia e la rassegnazione perché sentiva che la sua vita era stata una lunga perdita di tempo e anche quando aveva provato semplicemente a divertirsi non si era mai divertito, mentre a fare qualcosa di importante neppure aveva tentato.
Si riprese dal torpore, la galleria proseguiva, e si chiese come fosse possibile. Aveva fatto spesso quel viaggio in treno e non ricordava una galleria tanto lunga. Sono quasi dieci minuti ormai, pensò. Si alzò, sempre più irrequieto, e provò ad andare nel vagone successivo, e a quello dopo ancora. Non c’era nessuno, era come se il treno viaggiasse senza altri passeggeri, senza controllori, senza macchinisti. Tornò al suo posto, aveva lasciato lì i bagagli, il computer, il cellulare in carica. Si sedette e, sgomento, vide che la galleria proseguiva. Poi il suo sguardo finì sul display, in alto, quello che indica la velocità del treno, che arriva a 300 chilometri all’ora. Ma questa volta c’era scritto 1.000.000 di chilometri all’ora. Deve essere rotto, pensò. La galleria finirà prima o poi, pensò. Arriveremo in stazione e presto verrà un controllore, pensò. Decise di non preoccuparsi, prese gli auricolari, li collegò al cellulare e iniziò ad ascoltare della musica, una playlist di house di un suo amico dj. La galleria proseguiva, il display diceva che viaggiavano a 1.000.000 di chilometri all’ora, non c’era nessun altro sul treno. Decise di non pensarci.