Miptera: una band nata e cresciuta tra l’Umbria e Londra. Come inizia la vostra storia?
Inizia a Londra nel 2014. In quel periodo io, Paul, lavoravo come barman e facevo piano bar in un club. Ero partito per il Regno Unito dopo aver studiato musica, recitazione e canto a Roma. Volevo arricchire il mio bagaglio di esperienze, cercare la mia strada e trovare l’ispirazione giusta per scrivere i miei pezzi. In questo contesto conobbi Massimiliano, che stava portando avanti un progetto con un suo amico a Londra e viveva in Umbria, come me. Abbiamo parlato un paio di volte, buttando giù delle idee che abbiamo concretizzato poi due anni dopo, nel 2016, in Italia. Nel frattempo sfruttai i due anni lontano da casa per comporre i primi pezzi. Appena tornato chiamai di nuovo Massimiliano e registrammo delle demo, ma ci mancava ancora una “band” effettiva: abbiamo completato il progetto con Alessandro, un mio vecchio amico di infanzia che suonava con band locali.
Chi o cosa vi ha influenzato maggiormente nel modo di concepire la musica?
A livello stilistico ci ispiriamo agli artisti che sono stati innovatori del proprio genere, come Chopin, che riuscì ad andare “fuori” dall’impostazione classica del suo stile senza tuttavia stravolgerlo; la musica classica ha una grande importanza, è la forma d’arte che, insieme al jazz, sta alla base dei generi musicali moderni. Parlando di musica moderna, ci influenzano band come Beatles, Radiohead e, in tempi più recenti, Coldplay, che sono riuscite a catturare la sensibilità e la cultura musicale del loro tempo. Insieme alla musica classica, altri due grandi pilastri del nostro stile sono il pop di stampo britannico e il post rock, genere da cui cerchiamo di riprendere i dinamismi e la ritmica.
Come nascono e cosa trattano i vostri pezzi?
Scrivere per me è un processo personale, non riesco a scrivere semplicemente quando voglio scrivere. Lo stimolo viene da una sensazione che deriva da eventi, incontri, persone e delusioni. Cerco di progettare il meno possibile, a volte ho una melodia in testa di cui comprendo il significato quando una situazione sentimentale mi fa soffrire, e quando succede il resto del pezzo si aggiunge da solo, il testo si compone in modo spontaneo. La nostra musica punta a fermarsi a riflettere sulle ferite che cerchiamo di nascondere dietro alla “maschera” che mostriamo alle persone.
È in uscita il vostro primo ep My favourite spoon is a rabbit: ce ne parlate?
È il nostro primo lavoro ufficiale, in arrivo a dicembre 2017. Abbiamo in programma di rilasciare inizialmente le tracce singole (5 in totale) in rete sulle principali piattaforme (YouTube, Spotify, iTunes) e in seguito raccoglierle in un cd che produrremo per l’inizio del 2018. “Il mio cucchiaio preferito è un coniglio” è un titolo metaforico, un’affermazione che si può spiegare esaminando le due parole chiave: “coniglio” e “cucchiaio”. Il coniglio simboleggia la difficoltà con cui apriamo la nostra anima, ma soprattutto è simbolo di transizione e speranza. Il cucchiaio è legato ad una tematica che siamo stati costretti ad affrontare tramite persone a noi vicine, quella dell’eroina intesa come sostanza che maschera, rinchiude l’uomo in se stesso e lo isola dalle cose che ama, ma anche come personificazione della dipendenza, che non è possibile rimuovere completamente, ma al massimo “spostare” su altro; il titolo di questo ep è l’affermazione fatta dalla persona che riesce ad abbandonare la dipendenza verso la droga e proiettarsi sulla vita: “L’eroina è come una donna, che danzando ti acceca, e ti lascia per sempre da solo nel vuoto”. I pezzi saranno composti come a raccontare una storia, dove The target on my head è il momento in cui l’impatto con la vita ci rende impotenti e ci fa rendere conto che solo col tempo è possibile rialzarsi, If you don’t want to leave rappresenta invece il conflitto tra la parte di noi che resta e quella che fugge, The train runs è uno sguardo sul passato dove l’incontro e l’attaccamento alla bellezza ti fanno innamorare. Never be it è l’evidenziare e criticare il lato seducente della donna, in grado di condizionare la volontà dell’uomo, We won rappresenta l’apice del percorso, in cui avviene la presa di coscienza e diamo l’addio ad una parte di noi, vincendo le nostre paure.
Raggiungere un proprio stile e identità: quanto è importante per voi?
È una delle cose più importanti, cercare di trovare una formula, un’identità della band che viene espressa sotto diversi aspetti, da quello stilistico nella composizione dei brani a quello sonoro in fase di registrazione. Nei tempi che corrono c’è un crescente numero di generi e sottogeneri, quindi trovare una “combinazione” nuova e rappresentativa è uno step fondamentale e davvero difficile da compiere.
Un sogno nel cassetto?
Vivere della nostra musica.
Tre canzoni chiave?
Più che canzoni parlerei di album, ecco i tre più importanti per noi: Abbey Road dei Beatles, If you leave di Daughter, In rainbows dei Radiohead.
Progetti per il futuro?
Ci piacerebbe portare il nostro lavoro all’estero, magari con un tour o un disco, chissà.
Eleonora Anzini
MIPTERA
Paul Martom, voce, tastiere
Massimiliano De Curtis, batteria
Alessandro Tortoioli, basso
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