Riviviamo le emozioni del cantautore viterbese Simone Gamberi, fresco vincitore del premio della critica Migliore Artista del 2018 nell’ultima edizione di Sanremo Rock.
Come ti sei avvicinato a Sanremo Rock?
A dire la verità, all’inizio ero abbastanza restio, pensando che si trattasse di un’altra “presa in giro” come quella delle selezioni a Sanremo 2015. Poi però mi sono accorto che il concorso aveva selezioni ufficiali in tutta Italia, regione per regione, così mi sono detto: perché non provare? Magari riuscirò ad andare all’Ariston, e così è stato.
Chi sono i musicisti che ti hanno accompagnato in questa avventura?
Al contrario di quanto avvenuto al festival del 2015, Sanremo Rock imponeva la presenza di una band dal vivo, anche per i cantautori. Quando mi sono trovato di fronte a questa opportunità ho perciò comunicato alla direzione che avrei portato la mia intera band, composta per l’appunto da Alessandro Anselmi alla batteria, Roberta Sperduri alle percussioni, Simone Di Leo al basso, Vincenzo Icastico alla chitarra e, come seconda voce nonché co-autrice di alcuni miei testi, Noemi Fiorucci. Ad essi si aggiunge una fantastica sezione di fiati, composta da Dario Martellini al trombone, Roberto Vittori al clarinetto e Simone Buzi alla tromba, sostituito per l’occasione, causa importanti impegni a livello nazionale, da Luca Luzzitelli.
Com’è stato salire sul palco del teatro Ariston?
Il palco dell’Ariston è qualcosa di indescrivibile, e lo è anche il teatro in generale. A partire dall’esterno, con una via gremita di tutte le targhe di coloro che hanno fatto la storia della musica Italiana, e anche all’interno, con il teatro tenuto ancora in vecchio stile, dov’è possibile percepire quel profumo antico che sa di storia. Poi, una volta sul palco, dalla prima nota, per noi che siamo musicisti e facciamo questo di mestiere, tutto si trasforma in magia ed è bellissimo. Anche se la mia carriera non dovesse avere un seguito, rimarrà sempre l’immensa soddisfazione di aver suonato al teatro Ariston.
Parlaci dei pezzi che ha portato al festival.
Le canzoni che ho portato sono due: Città Paese e Il Matto. La prima delle due parla di questa tipologia di città, come lo è Viterbo, città nei numeri ma paese nella mentalità delle persone e nel loro modo di vivere e raccontare le storie altrui. In questo caso, faccio riferimento all’episodio di una ragazza reputata “facile”, sulla quale si alzano delle voci che non trovano però poi significativi riscontri nella realtà. Il Matto racconta invece la storia di un mio amico, diplomato al Conservatorio di Santa Cecilia, delle sue giornate adolescenziali trascorse in giro per Roma e dei suoi comportamenti reputati poco ortodossi, come quello di cantare a squarciagola per le piazze le parti che stava studiando. Una di quelle persone ingiustamente reputate “strane” dalla società, il quale mi confessò che una notte Roma gli parlò, coi versi andati poi a finire nel ritornello della canzone.
Hai vinto il premio della critica. Ora a cosa ti dedicherai?
È arrivato un riconoscimento che mi rende immensamente soddisfatto, così come lo sono tutti i ragazzi che hanno lavorato con me. Da questo premio scaturirà un contratto discografico con la Global Label Records Italia per la produzione e la distribuzione di un singolo. Il mio obiettivo sarà quindi quello di farlo arrivare il più possibile alle orecchie della gente, perché è questo il vero significato della musica, e non quello di monetizzare, come purtroppo accade oggi giorno. Inoltre vorrei con questo lavoro rendere merito a chi suona e lavora con me, persone realmente fantastiche e professionisti impagabili (oltre agli artisti sopra citati, ci terrei anche a ringraziare il mio manager ufficiale Giuliano Nisi, il professor Fabrizio Bastianini, Ilaria Fochetti, Isabella Bellitto, Sam Wels, Federico Maragoni), per far capire che a Viterbo l’attività culturale esiste, ed è giunto il momento di valorizzarla
Dino Manoni
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