Elisabetta

19 Luglio 2018

«Sono stato a trovare Elisabetta. Mi ha guardato in cagnesco, mi ha chiesto cosa cercassi da lei. Le ho spiegato che volevo semplicemente sapere come stesse, che anche tu eri preoccupata»

«E cosa ti ha risposto?»

«Per un attimo le è tornato il suo sguardo acido, accusatorio, ai confini dell’isteria. Lo ricordi, no? Poi ha sospirato, ha come premuto un interruttore. Ha avvicinato le mani al volto, coprendolo. Infine, le mani alzate, come stesse pregando, come usano in certi paesi dell’Asia per ringraziarti. Mi ha detto, con una espressione dolente, ma priva di ogni rancore: “Te lo chiedo per favore, lasciatemi in pace, dimenticatemi. Dillo anche a Patrizia. Nulla potrà tornare più come prima, non potrò mai perdonarvi, ma non è neppure così importante, in fondo. Devo però dimenticarvi, vivere un’altra vita senza di voi. Vi scongiuro».

«Cosa le hai risposto?».

«Nulla, ho capito che non c’era altro da aggiungere. Non la vedremo mai più. Ed è giusto così. La nostra pietà ipocrita non serve. Non la vedremo mai più, non la cercheremo mai più».

Trascorsero gli anni. Giorgia e io ci sposammo, Elisabetta divenne ogni giorno di più, ogni anno di più, un ricordo sbiadito, una storia di quelle che capitano da giovani, ti innamori di una ragazza, le chiedi di sposarti, tu pensi che amerai solo lei e non riesci a immaginare una vita senza lei, poi ti presenta la sua migliore amica e dopo pochi mesi ti accorgi che vorresti stare solo con lei. L’amica, non la ragazza per la quale fino a poco tempo prima eri molto banalmente pronto a morire. Succede a vent’anni e anche se poi vennero gli anni dei social network, del mondo in cui è impossibile non trovarsi, non sapemmo più nulla di Elisabetta.

Per qualche mese, forse qualche anno, vivemmo con l’ansia di leggere sul giornale la notizia su una ragazza abbandonata dal fidanzato che si era tolta la vita. Conoscevamo, o pensavamo di conoscere, la fragilità di Elisabetta, e sapevamo che sarebbe potuto succedere. Poi gli anni passarono e la dimenticammo, semplicemente. Non parlammo più di lei. Ci sposammo, per un po’ di tempo fummo felici, o comunque pensavamo di esserlo, perché in fondo è la stessa cosa. Provammo ad avere un figlio, ma scoprimmo che Giorgia non poteva averne. Una volta parlammo dell’ipotesi di adottarne uno, poi non tornammo sull’argomento perché anche senza dircelo capimmo entrambi che ci stavamo allontanando. Irrimediabilmente.

Eravamo abbastanza intelligenti e privi di risentimento da non volere farci del male e quando andammo dall’avvocato a preparare i documenti per la separazione ci spiegò che se tutte le coppie fossero state come noi due, il suo lavoro sarebbe stato molto più semplice ma forse avrebbe guadagnato meno soldi. Fu anche per questo motivo che quando il giornale mi offrì di andare a dirigere un altro quotidiano del nostro gruppo editoriale in una città del sud accettai senza esitare, anche se avrebbe portato la mia carriera in un vicolo cieco, sia pure comodo e ben remunerato.

Oggi Carla, la donna che viene a fare le pulizie nel mio appartamento e che dopo un anno è diventata la mia compagna, mi ha chiesto di accompagnarla alla scuola materna a prendere Niccolò, il bimbo che ha avuto dal primo marito. Sono sempre un po’ in imbarazzo, perché penso che al padre di Niccolò non faccia piacere che io veda spesso suo figlio, per cui mi sono tenuto in disparte, appoggiato allo sportello della macchina, aspettando che Carla andasse a recuperare Niccolò.

La guardo da lontano abbracciare il figlio, che indossa dei pantaloni rossi dello stesso colore dei capelli della madre. Carla poi si avvicina a un’altra donna, si baciano sulle guance, sorridono, parlano a lungo, ma si capisce che non sono argomenti importanti, c’è leggerezza. Poi Niccolò abbraccia la donna, le tocca i capelli lisci e neri. È Elisabetta. Ne sono sicuro, ora che guarda Carla e Niccolò andarsene, non ho dubbi. Da lontano mi sembra quella di un tempo, non è invecchiata ma forse è solo colpa della distanza. Carla entra in macchina, sistema Niccolò nel seggiolino, chiedo quasi distratto «chi era quella donna?». «È una delle maestre di Niccolò, è bravissima, qui le vogliono tutti molto bene, tra l’altro penso sia delle tue parti. È una di quelle persone che ha dedicato tutta se stessa al lavoro, ama molto i bambini, forse perché non si è mai sposata e non ne ha mai avuti. Ma è una persona speciale, davvero, penso sia felice».

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