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Hiroshi Nanami, la “bella onda” mancata di Venezia

11 Luglio 2022

Lasciando perdere Holly e Benji, il primo che si ricordi è stato Kazuyoshi Miura. Il secondo Hidetoshi Nakata, che divenne una star. Il terzo, Hiroshi Nanami, etichettato come bidone e da molti ormai dimenticato.

Parliamo di giapponesi capitati dalle nostre parti, non per turismo ma per fare i calciatori. Che se oggi in Italia e in Europa ce ne sono o ce ne sono stati diversi, negli anni Novanta la questione era un po’ più complicata e vedere gente con gli occhi a mandorla in serie A abbastanza esotico.

Miura sbarcò al Genoa, per una ventina di partite, e segnò pure in un derby. Gioca ancora in patria, a 55 anni: incredibile. Nakata invece ha smesso a 29, perché si era stufato e voleva vedere il mondo al di fuori di stadi e alberghi. E Nanami? Oggi ha 50 anni e allena in Giappone. E può raccontare di quando trascorse una stagione nel Venezia, in una delle città più amate dai suoi connazionali.

hiroshi nanami giuseppe marotta

Foto tratta da Calciogiappone.altervista.org

Hiroshi Nanami: un Nakata che non ce l’ha fatta

Stando alla Gazzetta, Nanami in italiano significa più o meno “bella onda”. Un cognome ideale per Venezia. Peccato che, tanto per restare in termini giapponesi, da lui ci si attendesse uno tsunami, che fa pure rima con Nanami. Sia sul campo, sia per l’effetto marketing. Come Nakata, diventato simbolo del Perugia e che si apprestava a consacrarsi a Roma.

Ma Nanami non è Nakata, con cui soffre il paragone. Anche contesti e ruoli sono diversi. Nakata più d’attacco, Nanami centrocampista d’ordine e geometrie. Entrambi portati in Italia da due presidenti vulcanici e mangia-allenatori: Luciano Gaucci e Maurizio Zamparini. A Perugia tutto è apparecchiato per la stellina nipponica, a Venezia Nanami è uno dei tanti in una squadra piuttosto mediocre.

Lo ingaggia in prestito Giuseppe Marotta, allora direttore generale degli arancio-nero-verdi e in seguito top manager a Juventus e Inter. Le credenziali sembrano buone: punto fermo del Jubilo Iwata, dove ha giocato con Totò Schillaci, e di una nazionale in ascesa. Nel 1998 il Giappone disputa il suo primo mondiale, pur perdendo tutte e tre le partite del girone.

Il calcio italiano, però, è troppo duro per lui. Non conosce la lingua e gli francobollano un interprete. I dettami di mister Spalletti non sono i più agevoli da afferrare. Hiroshi Nanami appare gracile e lento. Gli altri sembrano andare a velocità doppia. Ha ottima tecnica e visione di gioco, e un bel sinistro. Al debutto in campionato contro l’Udinese, serve al bomber Maniero l’assist del pareggio e fa tremare la traversa su punizione.

L’unica stagione di Nanami in Italia

Nonostante l’entusiasmo iniziale, Hiroshi Nanami non decolla mai. La “bella onda” non produce mai acqua alta. Le frotte di cronisti orientali che lo seguono ovunque si assottigliano man mano di più. Il Venezia, salvatosi l’anno precedente grazie ad Alvaro Recoba (poi tornato all’Inter), cambia quattro allenatori e retrocede in serie B.

Il giapponesino, 27 anni, colleziona 24 presenze e un gol, ancora con l’Udinese nella prima di ritorno. Le cose vanno meglio in Coppa Italia, dove i lagunari arrivano addirittura in semifinale, con Hiroshi sempre in campo nelle sette partite. E pure qui un gol, al Pescara. Ma ormai deve preparare le valigie: a fine stagione non viene riscattato e torna al Jubilo Iwata, la sua squadra per quasi tutta la carriera, dove ha vinto vari titoli prima e dopo l’esperienza italiana.

Il bilancio è quello di un giocatore “bravino” ma forse non così indispensabile per il Venezia. Zamparini ci ha provato, sperando anche e soprattutto in un ritorno economico. Chiamarlo bidone, però, è da cattivi. Perché a livello umano, con la sua serietà, maturità e mitezza tutte giapponesi, Nanami ha lasciato buoni ricordi. Una bella onda gentile, inghiottita troppo presto dai vorticosi flutti del calcio di oggi.

Prima foto in alto tratta da Charitystars.com

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Foto: Wikipedia