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Sport e guerra fredda: una lunga storia

24 Ottobre 2022

Sport e guerra fredda hanno incrociato la loro storia in numerose occasioni. La guerra in Ucraina e le tensioni internazionali di oggi hanno riacceso l’attenzione su quello strano periodo, durato quasi mezzo secolo e finito oltre trent’anni fa, che sembrava ormai obsoleto, sorpassato, consegnato ai libri di storia.

Invece la guerra fredda è stata un’epoca fondamentale, che ha profondamente determinato la realtà in cui viviamo. Per dirne una, internet affonda le sue radici proprio lì, così come l’esplorazione dello spazio. Dal 1945 al 1991 Stati Uniti e Unione Sovietica, punti di riferimento di due opposti sistemi ideologici, si sono sfidati per la supremazia globale in ogni ambito. Tutto questo, però, senza mai sfociare in uno scontro militare diretto che avrebbe prodotto conseguenze letali per il pianeta: da qui la definizione di “guerra fredda”.

Insomma, una rivalità a oltranza che ha coinvolto politica, economia, società, scienza, cultura e, non ultimo, lo sport. Ogni questione non ha interessato solo USA e URSS, ma anche i paesi alleati o satelliti. Del resto, la politica ha sempre cercato giustificazioni e consensi nell’agone sportivo. Questi sono stati gli episodi più rilevanti in cui sport e guerra fredda sono andati di pari passo. E si va ben oltre lo scontro di fantasia tra Rocky Balboa e Ivan Drago…

Sport e guerra fredda: bagni di sangue, scacchi e canestri

6 dicembre 1956, Giochi Olimpici di Melbourne. La partita di pallanuoto tra Ungheria e Unione Sovietica si trasforma in una guerra. In acqua, i giocatori se le danno di santa ragione. E quando il russo Prokopov ferisce al volto l’ungherese Zador, la situazione esplode: la polizia australiana deve intervenire per salvare i giocatori sovietici dall’aggressione dei cinquemila sostenitori magiari inferociti. La partita, vinta 4-0 da un’Ungheria poi medaglia d’oro, passa alla storia come Blood in the water o Bagno di sangue di Melbourne. Perché tutta questa tensione? Fin troppo chiaro: poche settimane prima, di bagno di sangue ce n’era stato uno vero, la rivoluzione di Budapest repressa dai carri armati di Mosca.

Se Stati Uniti e Unione Sovietica non si sono mai affrontati in un conflitto militare, lo hanno fatto però attraverso il gioco che incarna la quintessenza della strategia bellica: gli scacchi. Tra l’11 luglio e il 3 settembre 1972 a Reykjavik va in scena la sfida tra due grandi campioni: l’ossessivo e irascibile americano Bobby Fischer e il signorile e schivo russo Boris Spassky. L’incontro del secolo, valevole per il titolo mondiale, è ovviamente intriso di risvolti politici. Dopo ventuno drammatiche partite, Spassky si arrende per 12,5 a 8,5.

Sempre nel 1972, ai Giochi di Monaco terribilmente macchiati dalla strage terroristica ai danni degli atleti israeliani, diventa una questione politica, seppur con esiti non tragici, anche la finale di basket tra, guarda caso, USA e URSS. A tre secondi dalla fine, con gli Stati Uniti in vantaggio 50-49, gli arbitri fanno ripetere tre volte una rimessa dei sovietici, tra errori dei cronometristi, proteste e ripensamenti. Al terzo tentativo Belov trova il canestro decisivo: 51-50. Il reclamo degli americani è respinto dalla commissione FIBA, i cui voti dei giudici rispecchiano gli schieramenti politici: Italia e Portorico favorevoli, Ungheria, Polonia e Cuba contrari. Gli Usa rifiutano la medaglia d’argento, tuttora custodita dal CIO.

Sport e guerra fredda: palline, gol e miracoli

Succede anche che uno sport sia invece utilizzato come strumento diplomatico. È il tennistavolo, al centro della cosiddetta “diplomazia del ping pong” che contribuisce ad avvicinare USA e Cina, storica alleata dell’URSS, culminata con la visita ufficiale del presidente Nixon il 21 febbraio 1972. In tale occasione lui e Mao Zedong prendono in mano la racchetta e giocano insieme. Il tutto era nato un anno prima da una serie di episodi di amicizia tra pongisti statunitensi e cinesi ai mondiali in Giappone, ben sfruttati da Pechino per favorire il dialogo.

E poi c’è un gol a sorpresa: Amburgo, 22 giugno 1974, mondiali di calcio in Germania Ovest. Le due Germanie si sfidano in un surreale derby nel primo turno. Gli occidentali sono forti e vinceranno il titolo, gli orientali della DDR un po’ meno. Però a volte le cose non vanno come previsto. A tredici minuti dalla fine, sullo 0-0, Jürgen Sparwasser raccoglie il lancio di un compagno, sguscia tra tre difensori e mette la palla in rete. Vince la Germania Est: 8000 tifosi strettamente sorvegliati esplodono di fronte a 60.000 tedeschi dell’ovest ammutoliti. Il gol di Sparwasser fa dimenticare per un po’ il muro di Berlino, la divisione di un popolo, la spietata Stasi e tutto il resto.

Durante la guerra fredda possono succedere anche miracoli sportivi. Come quello sul ghiaccio di Lake Placid, New York, sede dei Giochi invernali 1980. In un periodo molto agitato per l’America, tra la crisi energetica e quella degli ostaggi in Iran e una società pervasa da profonda insoddisfazione, la giovanissima nazionale di hockey su ghiaccio ben allenata da Herb Brooks restituì entusiasmo alla nazione battendo 3-2 l’Unione Sovietica, ritenuta di gran lunga più forte, in una memorabile partita ricordata come Miracle on ice in ben due film.

Sport e guerra fredda: dai boicottaggi al cambiamento

I due grandi boicottaggi olimpici – Mosca ’80 da parte del blocco occidentale e Los Angeles ’84 da parte del blocco orientale – sono i due effetti più evidenti della guerra fredda sullo sport. Al primo, è deciso dagli Stati Uniti in seguito all’invasione sovietica dell’Afghanistan, aderiscono ben 65 nazioni. Ne esce fuori un’edizione depauperata, facilmente dominata da URSS e Germania Est. Altre nazioni occidentali come Italia, Francia, Gran Bretagna, Paesi Bassi e Australia partecipano, ma sotto la bandiera a cinque cerchi.

Di Mosca ’80 si ricorda il gesto dell’ombrello di Wladyslaw Kozakiewicz, saltatore con l’asta polacco, che scatena quasi un incidente diplomatico. Dopo aver saltato 5,78, prestazione che gli vale l’oro, l’atleta manda a quel paese l’intero stadio ostile nei suoi confronti, scatenando quasi un incidente diplomatico. L’ambasciatore russo chiede la restituzione della medaglia, un imbarazzato governo polacco è costretto a difendere Kozakiewicz definendo ufficialmente quel gesto uno “spasmo muscolare involontario causato dallo sforzo”.

Nel 1984 a Los Angeles il boicottaggio contrario: Unione Sovietica, blocco comunista e simpatizzanti vari (14 nazioni in tutto) per ritorsione rimangono a casa. Ma tempo qualche anno e cambia tutto: giù il muro di Berlino (1989), Germania unificata (1990) e addio Unione Sovietica (1991). Ai Giochi invernali di Albertville 1992 e a quelli estivi di Barcellona, al posto dell’URSS, partecipa la provvisoria Squadra Unificata composta dagli ex stati sovietici tranne Estonia, Lettonia e Lituania. Vince 112 medaglie, di cui 45 d’oro. L’ultima testimonianza della potenza sportiva di Mosca, al netto del doping di Stato.

Foto tratta da Iogiocopulito.it