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Ribaltare la prospettiva: il salto di Dick Fosbury

5 Maggio 2023

Se sei un ventenne nel 1968, non puoi fare le cose come le fanno tutti. O, peggio ancora, come ti hanno detto di farle. Dick Fosbury non era un figlio dei fiori e neanche un facinoroso. Era però un ragazzo con i suoi problemi, le sue ambizioni e la volontà di cercare la strada a lui congeniale, qualsiasi cosa dicessero gli altri.

Allora, grazie a una delle storiche specialità dell’atletica leggera, trovò un modo tutto suo di alzare lo sguardo, staccarsi dalla rude terra e raggiungere le stelle, giusto un anno prima che altri ben più famosi statunitensi mettessero piede sulla Luna. Ma quando si tratta di volare, che sotto i piedi ci sia un razzo propulsore o una semplice suola di gomma, fa poca differenza.

Con un ribaltamento di prospettiva degno di ogni rivoluzione che si rispetti, Fosbury legò per sempre il suo nome al salto in alto, cambiando nel profondo una disciplina presente ai Giochi Olimpici moderni fin dalla prima edizione del 1896. E anche in quegli antichi, dove si dice che, per agevolarne la coordinazione, accompagnassero i saltatori con il suono del flauto.

Dick Fosbury e il nuovo stile di salto in alto

Richard Douglas Fosbury, per tutti Dick, era di Portland, Oregon, dove nacque nel 1947. Terra di pionieri: qui essere “apripista” assume un significato letterale. Non aveva un gran fisico, ma gli piaceva saltare. Solo che a complicargli la vita c’erano le convenzioni: “Si è sempre saltato così“, parafrasando la frase simbolo di ogni apatia. Quel “così” voleva dire due stili predominanti: “a forbice”, il modo più vecchio di saltare in alto; o “ventrale”, allora il più diffuso, scavalcando l’asticella a testa e pancia in giù.

A Dick questi sistemi non andavano a genio. Non riusciva a coordinarsi: allenamenti e gare erano un disastro. A scuola, però, era bravo in scienze e notò un fatto: tenendo il baricentro più basso, saltare sopra l’asticella avrebbe richiesto minore sforzo. Ciò era possibile prendendo una rincorsa obliqua e saltando di dorso, a testa e pancia in su, occhi al cielo. Era nato il Fosbury Flop, laddove flop, in inglese, sta sì per “cadere di peso” ma anche, come tutti sanno, per fiasco totale.

Cosa che pensavano i suoi allenatori e compagni, sicuri che si sarebbe rotto l’osso del collo. Invece Dick non si curò di avvertimenti e prese in giro: aveva bisogno di una soluzione innovativa per continuare a fare salto in alto. Giorno dopo giorno migliorò quel nuovo stile, prima nei meeting studenteschi, poi all’università di Oregon State. Qui nel 1968 si laureò campione nazionale, staccando un biglietto olimpico per Città del Messico. E ringraziando una malformazione alle vertebre che lo salvò dall’arruolamento in Vietnam.

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Foto: Wikipedia

L’oro olimpico del ’68 e cosa è successo dopo

I Giochi del ’68, nel bel mezzo delle contestazioni giovanili, passarono alla storia per il pugno alzato di Tommie Smith e John Carlos, in segno di protesta a favore del movimento per i diritti civili degli afroamericani. Pochi sanno che a Città del Messico un altro pugno, seppur bianco, si levò dal gradino più alto del podio: quello di Dick Fosbury, in solidarietà ai suoi connazionali discriminati. Il ventunenne di Portland era lì sopra per aver saltato più in alto di tutti – 2,24 metri – nel modo che porterà il suo nome.

Il “ragazzo che saltava al contrario” non era stato l’unico atleta ad aver intuito le potenzialità del nuovo stile, ma fu il primo a portarlo al successo. L’oro olimpico, però, non ebbe seguito: si ritirò nel giro di un paio d’anni, per completare gli studi in ingegneria e vivere da persona  “normale”. Lui che di normalità aveva un gran bisogno, dopo un’adolescenza difficile, con il fratello minore ucciso da un camion mentre andava in bicicletta e il successivo divorzio dei genitori.

Fosbury è morto il 12 marzo 2023, a 76 anni, per un linfoma. La sua innovazione ha reso il salto in alto più leggero e aggraziato, togliendo goffaggine a un movimento comunque innaturale per l’uomo, creato per stare con i piedi per terra. Un destino, però, a cui si è sempre voluto sottrarre, così come per Dick volare lassù significava abbandonare per un attimo i problemi quotidiani. Perché a volte è solo ribaltando la prospettiva e alzando gli occhi che puoi trovare la tua strada. Girare la testa, curvare la schiena, tirare su le gambe e mettere più aria possibile tra se stessi e quell’asticella malferma, che è un po’ come la vita: se la prendi male, fa presto ad andare giù.

Prima foto in alto tratta da Theaustralian.co.au