“Ma quale DNA?”, calcio e antropologia in un libro

14 Luglio 2023

Nel corso degli anni la narrazione e la comunicazione di calcio hanno creato un immagine stereotipata e banalizzata di questo sport. Hanno reso accettate e di uso comune parole, espressioni e concetti in realtà fuori luogo e inappropriati. E questo è un peccato, perché il gioco del pallone è una splendida metafora della vita ed è anche un “fatto sociale totale” che rispecchia la realtà in cui viviamo ed è uno strumento semplice, ma assolutamente efficace, per comprenderla.

Bruno Barba, antropologo relativista e docente all’Università di Genova, nel suo libro Ma quale DNA? Il calcio, l’antropologia e le trappole dell’identità (uscito nel 2023 per Battaglia Edizioni) compie una riflessione profonda, e al tempo stesso ironica e leggera, sui tanti errori e sulle responsabilità della comunicazione sportiva. L’autore, appassionato di calcio e con una malcelata passione juventina, tenta di smitizzare alcune certezze e di sottolineare mistificazioni e modi distorti di raccontarlo.

Applicando al calcio concetti e nozioni che la scienza antropologica studia da sempre, l’autore cerca di decifrare alcune dinamiche e di svelare l’inopportunità di una serie di convinzioni errate, ma che nel calcio sono ormai largamente assecondate. E che possono aggravare la situazione originando comportamenti, anche velati e inconsci, di odio, razzismo ed etnicizzazione.

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Foto: Waldemar / Unsplash

Ma quale DNA?, una questione culturale

Barba, come preannuncia il titolo del volume, parte dal DNA. La sigla dell’acido deossiribonucleico, dove sono contenute le informazioni geniche degli esseri viventi, e quindi anche nostre. Nel calcio è diventato un termine molto abusato, al pari di “importante”, “tanta roba” e molte altre espressioni ricorrenti. Nel racconto calcistico una squadra ha così “la vittoria nel DNA“, oppure un “DNA europeo“, quando in realtà il DNA è un dato biologico e non culturale.

Secondo l’autore, una squadra non è immutabilmente “pazza”, “sventurata” o “cinica” per natura. Un popolo non ha “caratteristiche tattiche” innate (italiani difensivisti, brasiliani fantasiosi ecc.). Invece, un team o una nazione non sono indenni ai cambiamenti sociali, politici ed economici, ma soggetti a continui adattamenti e trasformazioni. Quindi, il DNA di un club o di una nazionale può esistere soltanto in senso metaforico e figurato. E l’identità, la patria, la tradizione, la “scuola”, sono prodotti culturali, persino alimentati da mode o da manipolazioni giornalistiche.

Tuttavia le derive della comunicazione (a maggior ragione nell’estrema semplificazione e polarizzazione attuale di tv e social) hanno creato leggende e narrazioni distorte e decontestualizzate, portando a visioni appiattite e ampiamente diffuse presso un pubblico portato a non approfondire il discorso. L’antropologia permette di far luce su questa confusione distinguendo tra aspetti naturali e culturali. L’idea di DNA collettivo è così fuorviante, e per certi versi pericolosa. Per Barba, il DNA è il talento naturale con cui si nasce, ma sono impegno, perseveranza e passione – aspetti su cui, come altri, influisce l’ambiente – a completare in modo decisivo il nostro patrimonio genetico.

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Foto: Vienna Reyes / Unsplash.com

Il calcio: un “fatto sociale totale”

Oltre a enunciare la sua teoria di base, in Ma quale DNA? Bruno Barba compie un viaggio attraverso la storia e gli aspetti sociologici del calcio. I suoi miti, interpretazioni, modelli culturali. Connette dinamiche, attitudini, linguaggi, consuetudini di questo sport che ci sembra così facile da capire e da commentare, con il pensiero antropologico di alcuni esponenti della materia e con le proprie esperienze personali.

Ci porta attraverso le mille sfaccettature di un Brasile in cui ha vissuto, nelle viscerali contraddizioni di un’Argentina che noi italiani sentiamo sempre affine, il mondiale in Qatar e cosa ha significato per il calcio di oggi. Parla di Juventus e di Inter, ma anche dell’Alessandria, la squadra della sua città, che come tante realtà di provincia è convinta di avere per natura un… DNA perdente. Analizza il ruolo dell’allenatore e ritorna ancora sulla narrazione calcistica, per concludere con una splendida bibliografia ragionata.

Da queste pagine emerge con forza quanto il calcio sia il racconto popolare di una nazione. Immaginario collettivo, spettacolo, business, politica e tante altre intersezioni con le varie sfere della società, è evoluzione continua, è contaminazione inarrestabile. Dovremmo allora rinunciare all’identità, alle origini? Secondo Barba, no, ma dovremmo ricercarne le cause, pensando che possano sempre essere diverse e non dettate da regole meccaniche e deterministiche. Perché nessuna identità andrebbe interpretata come immutabile e limitante.

E l’antropologia potrà anche arrivare a indagare le dinamiche di aggregazione comunitaria, a riflettere su precisi meccanismi identitari, ma come ogni scienza non riuscirà mai a spiegare la fede. E cos’altro è, il calcio, se non una religione?

Prima foto in alto: Gustavo Ferreira / Unsplash

Si ringrazia Lorenzo Battaglia di Battaglia Edizioni per la gentile collaborazione

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