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Steve Prefontaine, fino all’ultima corsa

9 Aprile 2021

Sembra che Steve Prefontaine, quella sera, non avesse bevuto troppo. E soprattutto, che non andasse forte. Il che fa strano, perché “Pre” se non correva, non viveva. Sulla pista di atletica o al volante della sua MG color caramello.

Erano gli anni Settanta e a lui, in realtà, del Vietnam e della politica importava il giusto. O almeno non lo dava a vedere. La sua vita era la corsa, il mezzofondo per l’esattezza. Meglio: la sua vita era vincere, frantumare record sulla pista di casa, quella del caro, vecchio Hayward Field di Eugene, Oregon. Il suo Oregon. L’aria umida che sa di mare e di bosco con cui si riempiva i polmoni per sprintare con le gambe snelle tutte nervi.

Il vero carburante di Steve Prefontaine, però, era un altro: la sconfinata fiducia in se stesso. Il carisma naturale che ne faceva un idolo delle folle. Estroverso e spavaldo, non arrogante. Schietto e diretto. Iperattivo, baffo d’ordinanza, pieno di idee e passioni. Quando i suoi capelli biondi, eredità della mamma tedesca, si alzavano al vento, forse non sapevi se avrebbe vinto, ma sapevi che avrebbe dato tutto.

La sua corsa era arte. Sfidare a viso aperto i più forti, perché questo è l’unico modo per migliorarsi. “Pre” non si risparmiava mai. Si spingeva sempre al limite. Soffriva le tattiche di gara. Forse, gestendosi meglio, avrebbe portato a casa qualche trofeo in più. Ma la gente non ama chi non dà il massimo. Ai Giochi di Monaco ’72, nella finale dei cinquemila, la benzina finì sul più bello e un inglese, tale Stewart, lo beffò sul traguardo. Quarto posto: il piazzamento più doloroso.

Steve, appena ventuno anni, non era favorito, ma voleva vincere lo stesso. Smacco atroce. Tornò a correre con in testa un solo obiettivo: Montreal ’76, nel Canada francofono, terra d’origine di suo padre. Anni di lotta, in pista e fuori. Anticonformista e ribelle a modo suo, “Pre” combatté contro le regole vecchie e ingessate dell’atletica di allora. Contro l’ipocrisia che impediva ai dilettanti di percepire soldi dagli sponsor. La sua battaglia aprì la strada al professionismo.

Arrivò quella sera. Fine maggio del 1975. Steve era a una festa con altri atleti. Aveva vinto un meeting da lui stesso organizzato, con alcuni tra i migliori corridori dell’epoca. Salutò non troppo tardi, avviandosi verso casa. Chissà a cosa stesse pensando in quel momento. Forse a Montreal. O alla fiammante MG che teneva tra le mani. Comprata, finalmente, con i soldi della Nike. Una curva bastarda in discesa, una distrazione fatale, una parete di roccia. Steve Prefontaine morì a ventiquattro anni, di botto, senza dire niente a nessuno. Dopo aver vinto la sua ultima corsa.